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23 June 2019

Il governo e il passo del gambero ecco come sfasciare le imprese

Il passo del gambero, questa la direzione di marcia impressa dal Governo all’economia italiana e il primo a farne le spese è il Mezzogiorno: l’incertezza finanziaria sta frenando gli investimenti, come certificato giovedì dall’Istat nel suo Rapporto annuale; il ritorno indietro su provvedimenti essenziali per la tenuta del tessuto industriale e l’incuria nel seguire le

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Il passo del gambero, questa la direzione di marcia impressa dal Governo all’economia italiana e il primo a farne le spese è il Mezzogiorno: l’incertezza finanziaria sta frenando gli investimenti, come certificato giovedì dall’Istat nel suo Rapporto annuale; il ritorno indietro su provvedimenti essenziali per la tenuta del tessuto industriale e l’incuria nel seguire le crisi aziendali stanno portando a un loro pericoloso avvitamento.

Ex-Ilva di Taranto, Whirlpool di Napoli, Industria Italiana Autobus di Avellino, ex-Alcoa ed Eurallumina di Portovesme le situazioni di maggior allarme. Il comun denominatore è l’assenza di una visione di politica industriale del Governo e la sua inaffidabilità come garante delle regole. Il rischio è la perdita definitiva di presidi produttivi e occupazionali essenziali con effetti di desertificazione industriale e impoverimento dei rispettivi territori: perché dietro ogni logo aziendale vi sono in realtà i lavoratori e le loro famiglie, persone in carne ed ossa.

A Taranto – 15.000 lavoratori tra diretti ex-Ilva e indotto – è venuto al pettine il groviglio di contraddizioni in cui è avvolto il Governo e che avevo denunciato domenica scorsa su queste colonne. In particolare, sono emerse le conseguenze della norma del decreto “crescita” che da settembre prossimo reintroduce la perseguibilità penale per le azioni intraprese dal management in applicazione dell’autorizzazione integrata ambientale, azioni cioè di risanamento ambientale cui il management è tenuto per legge! E’ un vero e proprio “comma 22” quello voluto dal Governo: un obbrobrio giuridico che, per “salvare la faccia” al M5S, cancella la certezza del diritto, affossa il processo di risanamento ambientale di cui Taranto ha assoluto bisogno, mette a rischio i posti di lavoro.   

A Portovesme – circa 1.000 lavoratori tra diretti delle due aziende e indotto – la riapertura dello stabilimento ex-Alcoa è bloccata dall’intenzione del Ministero dello sviluppo economico di cancellare gli strumenti che consentono di ridurre il prezzo dell’energia – componente principale del costo di produzione dell’alluminio – al livello dei Paesi concorrenti. Il risultato è la paralisi degli investimenti che dovevano essere effettuati e il permanere della chiusura dello stabilimento. Altrettanto sta verificandosi per Eurallumina, bloccata dalla incertezza riguardo alle decisioni del Governo sul sistema elettrico dell’area e a quelle della Regione in materia ambientale.

Ad Avellino – quasi 300 lavoratori – il Governo ha bloccato a luglio scorso il progetto di allargamento della compagine azionaria e di ricapitalizzazione di Industria Italiana Autobus, un’impresa che aveva acquisito oltre mille ordinativi di autobus ma doveva rafforzare la propria struttura finanziaria. La scelta dichiarata dal Governo era che all’ingresso di nuovi soci privati italiani si preferiva quello esclusivo di soci a capitale pubblico. Da allora la produzione ad Avellino è ferma e gli autobus vengono prodotti in Turchia: da tutto pubblico a tutto turco?

A Napoli la vertenza Whirlpool – 430 lavoratori – è ancora in

. Il Governo finora si è limitato a fare grancassa intorno alla minaccia di revocare gli incentivi, che in realtà è una minaccia vuota: i finanziamenti già erogati sono stati utilizzati da Whirlpool per effettuare l’investimento sul sito di Carinaro, che ha garantito 300 posti di lavoro ed è stato regolarmente rendicontato, quindi per legge non sono revocabili; quelli ancora da erogare riguardano la realizzazione della nuova linea di lavatrici nello stabilimento di via Argine e non servirebbero più all’azienda se questa dovesse mantenere la decisione di disimpegnarsi da Napoli. Completamente silente, invece, il Governo riguardo alle scelte strategiche necessarie: nessuna idea per un miglioramento strutturale di attrattività dell’area, per esempio facendo leva su una accelerazione (sarebbe ora!) della Zona economica speciale intorno al porto di Napoli.

Nel frattempo non è stato rifinanziato il credito d’imposta per investimenti al Sud – una misura che in meno di due anni di operatività (2017-2018) aveva prodotto 8,4 miliardi di nuovi investimenti privati nel Mezzogiorno (dati Mef) – e non si hanno notizie degli interventi previsti nei Patti per il Sud – l’ultimo rendiconto pubblico risale al gennaio 2018. In compenso, abbiamo assistito nei giorni scorsi a una ben misera commedia: la Lega ha presentato, fatto approvare anche dai 5 Stelle e poi ritirato (in cambio di cosa?), un emendamento al decreto “crescita” che svuotava il Fondo sviluppo e coesione trasferendo le risorse alle Regioni, una bella pietra tombale sulle politiche per il Mezzogiorno.

Dalle crisi aziendali alla politica industriale agli investimenti infrastrutturali: il “Governo del gambero”.

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