Interventi
10 November 2019

Tre mosse per non rivivere a Taranto la triste vicenda di Bagnoli

Tre mosse in sequenza per arrivare a salvare l’Ilva. Prima di tutto, il Governo deve chiarire in modo inequivoco quale è la sua linea sulla produzione di acciaio a Taranto. La seconda mossa, se come spero la linea fosse quella della continuità produttiva, è la ricostituzione immediata di un quadro normativo basato sulla certezza delle

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Tre mosse in sequenza per arrivare a salvare l’Ilva. Prima di tutto, il Governo deve chiarire in modo inequivoco quale è la sua linea sulla produzione di acciaio a Taranto. La seconda mossa, se come spero la linea fosse quella della continuità produttiva, è la ricostituzione immediata di un quadro normativo basato sulla certezza delle regole in termini di immunità per chi rispetta la legge e di prescrizioni ambientali. La terza, sulla base di un ristabilito quadro di regole certe, riportare Arcelor Mittal (AM) al tavolo del confronto, esigendo il rispetto degli impegni presi e respingendo condizioni inaccettabili.

La prima mossa è condizione necessaria senza la quale non si va da nessuna parte. Al Presidente del Consiglio va dato merito di essere andato di persona venerdì nello stabilimento di Taranto a parlare con lavoratori e cittadini: non era facile ed è stato un segnale di per sé importante che va decisamente apprezzato. Ma quando lui stesso ha dovuto riconoscere, con grande onestà, di non avere la soluzione in tasca, si è reso chiaro che allo stato degli atti una linea del Governo non c’è e che si è andati al voto che ha cancellato il cosiddetto scudo penale senza aver chiaro lo scenario drammatico che si sarebbe aperto. 

Serve quindi prima di tutto un chiarimento interno all’Esecutivo, senza il quale manca nei fatti l’interlocutore fondamentale per costruire qualsiasi soluzione. E dunque sta al Governo chiarire in modo inequivoco e irreversibile se il suo obiettivo è la continuità produttiva di Taranto oppure no. Se la risposta fosse la seconda, significherebbe rassegnarsi alla decrescita infelice, lasciando che a Taranto si riproducano ingigantiti il vuoto produttivo e occupazionale e il bubbone ambientale che a suo tempo si determinò a Bagnoli, una piaga ancora aperta. E purtroppo con effetti, se possibile, ancora più devastanti, perché il collasso dell’indotto avrebbe conseguenze tragiche su tutto il tessuto produttivo dell’area jonica. 

Se, come mi auguro, la risposta fosse invece la prima e quindi l’Esecutivo ritrovasse il coraggio, che ha guidato i Governi della passata legislatura, di accettare la sfida dello sviluppo di una industria ambientalmente sostenibile, la mossa successiva sarebbe immediatamente conseguente: ripristinare subito la certezza del diritto – reintroducendo l’immunità per chi opera rispettando l’AIA (autorizzazione integrata ambientale) e generalizzandola a tutte le imprese che sono impegnate nel risanamento ambientale di situazioni compromesse da eredità passate – e ricostruire la certezza delle regole – chiudendo rapidamente la procedura di revisione dell’AIA che dalla primavera scorsa pende irrisolta sulla testa di qualsiasi progetto ambientale, industriale e occupazionale nello stabilimento tarantino.

Certezza del diritto e certezza delle regole sono la precondizione indispensabile per affrontare in modo serio il passaggio successivo, quello di una strategia industriale per il siderurgico. Finché quella precondizione non viene ristabilita è fuori luogo esercitarsi su eventuali interventi di altri soggetti privati o a partecipazione pubblica in sostituzione di Arcelor Mittal: al di là dell’uso strumentale che AM sta facendo delle incertezze governative, si deve essere consapevoli che nessun investitore può operare nel contesto normativo ondivago e penalizzante che dalla primavera scorsa si è determinato per l’Ilva.

Una volta ristabilite certezza del diritto e certezza delle regole, la terza mossa da fare è richiamare con fermezza AM al confronto con le istituzioni e con i sindacati circa il futuro industriale e occupazionale degli stabilimenti Ilva. Le condizioni poste dalla società nell’incontro di mercoledì scorso a Palazzo Chigi sono chiaramente inaccettabili, ma una volta sgombrato il campo dall’incertezza normativa la posizione negoziale della società risulterebbe indebolita – perché la richiesta di recesso dal contratto sarebbe nei fatti una opzione assai meno percorribile per AM – mentre più forte sarebbe la posizione negoziale del Governo. Si potrebbe allora entrare concretamente nel merito di una strategia industriale per Taranto e per tutto il Gruppo Ilva e di eventuali forme di supporto per una ripresa piena della direzione di marcia fissata nel Piano ambientale e nel Piano industriale che Arcelor Mittal è tenuta a realizzare.

Sono tre mosse che richiedono coraggio politico e respiro ideale: è questo un banco di prova decisivo per l’attuale maggioranza. Per il bene di Taranto e dei lavoratori del Gruppo Ilva, c’è da augurarsi che la prova venga superata.

Articolo del 10 novembre 2019 per il Corriere del Mezzogiorno

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