Interventi
01 March 2020

Salute e dualismo Stato-Regioni. Il coronavirus impone una riflessione

Per fortuna di tutti la pretesa di qualche Regione di fare parte per sé stessa nel contrasto al coronavirus sembra stia finalmente cedendo il passo a un più responsabile allineamento alle indicazioni comuni fornite dal Governo centrale, peraltro concordate con la Conferenza delle Regioni. E allora, sperando che le polemiche istituzionali stiano definitivamente rientrando, può

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Per fortuna di tutti la pretesa di qualche Regione di fare parte per sé stessa nel contrasto al coronavirus sembra stia finalmente cedendo il passo a un più responsabile allineamento alle indicazioni comuni fornite dal Governo centrale, peraltro concordate con la Conferenza delle Regioni. E allora, sperando che le polemiche istituzionali stiano definitivamente rientrando, può essere utile guardare senza condizionamenti di parte alla questione che nei fatti l’emergenza sanitaria ha posto sul tappeto: quella della funzionalità o meno dell’attuale riparto di competenze tra Stato centrale e Regioni. 

Come è noto, la tutela della salute fa parte delle materie di legislazione concorrente per le quali oggi il Titolo V della Costituzione (articoli 117-119) prevede che alla legge statale sia riservata “la determinazione dei principi fondamentali”. Oltre a ciò, restano in capo allo Stato altri tre strumenti: la definizione dei “livelli essenziali delle prestazioni”, la perequazione finanziaria “a favore dei territori con minore capacità fiscale” in modo da garantire le risorse necessarie a coprire quei livelli, “interventi speciali” per “rimuovere gli squilibri economici e sociali”.

Conseguentemente, in materia sanitaria l’intervento del Governo centrale è consistito negli ultimi venti anni essenzialmente nella definizione dei livelli essenziali, nella determinazione del finanziamento del Servizio sanitario nazionale e nel suo riparto tra le Regioni, d’intesa con la Conferenza che le coordina, e nel promuovere a livello nazionale i cosiddetti Obiettivi di Piano sulla base di una quota sostanzialmente marginale del finanziamento complessivo. Organizzare la gestione operativa dei servizi e degli interventi è stata invece competenza riservata alle Regioni nella loro autonomia legislativa e amministrativa. Salvo, naturalmente, il compito del Governo di controllare con strumenti più o meno cogenti (per esempio i Piani di rientro) che la forma organizzativa stabilita autonomamente dalla singola Regione assicurasse poi effettivamente l’erogazione delle prestazioni stabilite. 

Senonché, l’emergenza coronavirus richiede, come è diventato chiaro in questi giorni, un intervento centrale che va ben al di là di queste modalità di governo della della materia costituzionalmente concorrente: si tratta infatti di contrastare un fenomeno che minaccia l’intera comunità nazionale e che quindi non può essere gestito autonomamente e con modalità divergenti dalle singole Regioni. Né si può, se non come estrema ratio, utilizzare allo scopo la previsione contenuta sempre nel Titolo V (articolo 120) che attribuisce al Governo centrale la possibilità di “sostituirsi agli organi delle Regioni” nel caso di “pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica”: la situazione che si sta fronteggiando in questo momento richiede, almeno per ora, non che il Governo si sostituisca alle Regioni ma che disponga dei poteri e degli strumenti necessari a svolgere una funzione unificante di direzione e coordinamento nei loro confronti.

Il rischio epidemia sta insomma evidenziando un problema di natura del tutto generale: un sistema di governo multilivello deve essere costruito bilanciando l’esigenza di gestire una funzione pubblica al livello più vicino possibile alla comunità amministrata con quella di valorizzare le cosiddette “esternalità” connaturate a quella stessa funzione, ossia il fatto che le ricadute del modo in cui essa è svolta vanno al di là della specifica comunità amministrata e coinvolgono i cittadini dell’intera nazione. Il tema, particolarmente evidente nel settore della salute, tocca in realtà moltissimi altri settori, dall’istruzione all’ambiente e all’energia, dai trasporti al ciclo dei rifiuti e alla gestione dei servizi idrici, e così via. 

Restando sul terreno sanitario, servirebbe allora una norma che faccia chiarezza sul fatto che è compito dello Stato stabilire disposizioni di valore generale e comune a tutte le Regioni per la tutela della salute. E’ quanto faceva la sfortunata riforma costituzionale che venne respinta nel referendum del dicembre 2016: purtroppo, a tre anni di distanza è probabilmente ancora non opportuno riaprire una simile questione, anche se sarebbe saggio per il bene del Paese. 

Non resta allora che far crescere la consapevolezza politica di quanto sia necessario un recupero di ruolo dello Stato centrale in materia sanitaria, e non solo. Sta quindi a Governo e Regioni, pur in assenza di un quadro normativo chiarificatore, dimostrarsi all’altezza della sfida che il Paese ha di fronte e adottare comportamenti che siano equivalenti a quella distinzione di ruoli che sola può evitare la frammentazione paralizzante e rendere realmente efficaci le azioni di tutti gli attori in campo.

Articolo del 1 marzo 202o per il Corriere del Mezzogiorno

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