Interventi
11 November 2018

Per la Svimez il «rischio gelata» c’è e la società meridionale è la più esposta

Servizi sociali sofferenze acute di un Meridione che rischia grosso con la frenata economica in atto. Svimez conferma: senza crescita non c'è futuro.

Leggi tutto >

Fondamentalmente, il Rapporto Svimez 2018, presentato giovedì scorso alla Camera dei Deputati, dice che, se la frenata economica ormai in atto non troverà risposta in adeguate politiche per la crescita, l’economia del Mezzogiorno – che pure ha rialzato la testa e si è rimessa in cammino a partire dal 2015 – difficilmente potrà farcela. E le ferite della società meridionale, segnata nel profondo dalla lunga crisi 2008-13, altrettanto difficilmente potranno rimarginarsi.

Quest’anno una parte ampia del Rapporto è dedicata proprio alla situazione sociale e alla capacità delle pubbliche amministrazioni di dare risposta ai bisogni dei cittadini. Dalla questione della povertà e degli strumenti per fronteggiarla – Reddito di inclusione e l’annunciato Reddito di cittadinanza – al peso dell’illegalità e alle sue conseguenze. E soprattutto le condizioni critiche in cui versano i principali servizi pubblici, che portano la Svimez a parlare di “cittadinanza limitata” al Sud.
Prima di tutto un paio di misure aggregate (dati 2016): la spesa pubblica corrente pro-capite nel Mezzogiorno risulta di un sesto più bassa che al Centro-Nord, un dato che sfata il luogo comune di una spesa gonfiata al Sud; viceversa, la spesa in conto capitale pro-capite è un po’ più alta nel Meridione, un dato questo che dovrebbe essere la norma se si vuole recuperare il divario infrastrutturale, anzi la spesa per investimenti pubblici dovrebbe essere consistentemente maggiore (qui come sappiamo gioca il fatto che i fondi di coesione nazionali ed europei in parte compensano la minor spesa ordinaria invece di essere interamente aggiuntivi).
La più bassa spesa corrente non è dovuta a una minore dotazione di personale pubblico, che risulta sostanzialmente in linea con la media nazionale, seppur diminuita negli ultimi anni sia al Sud che al Centro-Nord. La notevole differenza tra le due aree del Paese nelle condizioni in cui versano i servizi pubblici va quindi ricondotta a un divario di efficienza organizzativa delle pubbliche amministrazioni e a una loro minor capacità di spesa in beni e servizi diversi dal personale. La conferma viene dal fatto che le distanze nella spesa corrente riguardano principalmente edilizia abitativa e urbanistica, formazione, sanità e assistenza.

Il Rapporto si sofferma soprattutto su sanità e formazione. Nella prima si sono avuti miglioramenti negli ultimi anni nel grado di adempimento dei livelli essenziali di assistenza, che resta però più basso nelle Regioni del Meridione rispetto a quelle del Centro-Nord. Un indicatore concreto di insoddisfazione dei cittadini viene dai dati sulla mobilità ospedaliera che evidenziano ancora un consistente flusso di pazienti che dal Sud si spostano per farsi curare da strutture sanitarie in altre Regioni italiane. Per quanto riguarda la formazione, la Svimez evidenzia in particolare il più alto tasso di abbandono scolastico nel Mezzogiorno, un indicatore di disagio giovanile molto significativo che, oltre a segnalare un problema di funzionamento delle istituzioni scolastiche meridionali, va collegato ad altri due temi – urbanistica abitativa e assistenza – che invece restano in ombra nel Rapporto.

Penso a quanto l’ambiente urbano incida sulla tenuta sociale della comunità che lo vive e come il degrado urbanistico e di sicurezza che tormenta tanti quartieri delle nostre città, specie nel Mezzogiorno, metta a dura prova la capacità delle famiglie e delle stesse istituzioni scolastiche nel contenere le spinte centrifughe che portano tanti ragazzi a compromettere la propria formazione e il proprio futuro. Eppure esistono risorse consistenti destinate proprio ai processi di rigenerazione urbana (ricordo, per tutti, il risanamento di Scampia): sta all’attuale Governo e alle amministrazioni regionali e locali dare attuazione effettiva agli interventi programmati.

E penso ai servizi comunali di assistenza sociale, che svolgono una funzione che è ora di rivalutare e di sostenere con maggiori risorse: prendersi concretamente cura dei punti di sofferenza delle comunità locali. I percorsi di reinserimento che i servizi sociali dei Comuni sono tenuti a definire con le famiglie beneficiarie del Reddito di inclusione sono un primo passo in questa direzione. Non c’è Reddito di cittadinanza che possa avere effetti positivi su povertà ed esclusione sociale se non condizionato strettamente a questo impegno di responsabilità individuale e collettiva.

Articolo del 11 novembre 2018 per il Corriere del Mezzogiorno

SEGUIMI SUI SOCIAL