Interventi
04 October 2020

Non solo smart (o South)-working. Il Meridione ha bisogno di imprese

Lavoro a distanza o maggiore responsabilità nel lavoro? Lavoro geograficamente periferico rispetto al cuore dei processi produttivi o ridislocazione territoriale dei centri direzionali delle aziende? Domande queste che sono venute alla ribalta con il ricorso diffuso al cosiddetto smart-working, reso necessario dalle misure di contenimento della pandemia. Domande su cui molti hanno avviato una riflessione

Leggi tutto >

Lavoro a distanza o maggiore responsabilità nel lavoro? Lavoro geograficamente periferico rispetto al cuore dei processi produttivi o ridislocazione territoriale dei centri direzionali delle aziende? Domande queste che sono venute alla ribalta con il ricorso diffuso al cosiddetto smart-working, reso necessario dalle misure di contenimento della pandemia. Domande su cui molti hanno avviato una riflessione in questi mesi, da ultimo Marco Bentivogli in un interessante e-book per i tipi di Rubbettino. Domande che investono anche il rapporto tra Nord e Sud, spingendo alcuni a parlare di South-working con riferimento ai lavoratori, spesso giovani, tornati nelle Regioni di origine e non ancora rientrati nei loro luoghi di lavoro del Centro-Nord. 

Oggi gli interrogativi prevalgono sulle risposte, come è inevitabile di fronte all’irrompere di un fenomeno nuovo, dai contorni ancora tutti da decifrare. Proverò a metterne in luce qualcuno, senza alcune pretesa di esaustività. Comincerei distinguendo due questioni sul tappeto, tra loro collegate ma che è bene non confondere: per un verso, le implicazioni dello smart-working sulle forme di organizzazione del lavoro in azienda e, per altro verso, le possibili conseguenze sulla localizzazione territoriale rispettivamente di lavoratori e centri decisionali d’impresa.

Riguardo alle forme di organizzazione del lavoro credo che dobbiamo prima di tutto distinguere tra processi di produzione fisica di beni o servizi da una parte e, dall’altra, funzioni di direzione – compresa ricerca e progettazione – nonché procedure amministrative d’azienda. Nel primo caso, sembra a oggi molto difficile che la produzione fisica possa fare a meno dell’intervento dei lavoratori in presenza (salvo per le mansioni frammentate, e spesso meno qualificate, assegnabili “a domicilio”): vale ovviamente per i processi produttivi nell’industria e nell’agricoltura ma vale anche per servizi come il trasporto, la ristorazione, lo stesso commercio che, al di là della diffusione dell’e-commerce, resta ancora basato per diverse tipologie di beni sulla vendita in presenza. 

Nel secondo caso, invece, cioè per le funzioni di direzione e per quelle amministrative, lo smart-working si presenta già oggi come una opzione possibile e vi si è fatto ampio ricorso nel periodo del lockdown. Quali le sue prospettive nel prossimo futuro? E’ un tema molto aperto, su cui ogni impresa sta cercando la propria strada. Si intersecano qui diversi fattori: possibilità o meno di verifica a distanza della produttività del lavoratore, modalità per tenere alto lo spirito di squadra e la responsabilità individuale, forme di interazione personale nell’attività di progettazione e ricerca. Fattori che portano con sé opportunità e rischi: una adeguata formazione in azienda prima e durante il ricorso allo smart-working può creare quello spirito di squadra per cui il lavoratore trova nella nuova organizzazione uno spazio di autonomia e responsabilità che ne valorizza le capacità; mentre per mansioni più ripetitive la verifica a distanza della produttività può risultare triste ed estraniante per il lavoratore; o, ancora, l’alternanza di interazione in presenza con comunicazione on-line può essere produttiva per le funzioni di ricerca e progettazione. 

  Tutto ciò consiglia di guardare in modo problematico anche alle implicazioni territoriali dello smart-working. E’ vero che può costituire una opportunità per contenere l’emigrazione, specie dei giovani, verso il Centro-Nord offrendo opportunità di lavoro a distanza nel Sud e attivando una maggiore domanda di servizi intorno a chi resta o rientra. Ma credo si debba essere consapevoli che questo non è davvero sufficiente per risolvere la questione meridionale. 

Prima di tutto perché, come si è detto, vi sono attività produttive decisive per lo sviluppo di un tessuto economico completo e avanzato che richiedono comunque l’intervento dei lavoratori in presenza: il Mezzogiorno ha bisogno che crescano e prosperino le attività industriali e agroalimentari e i servizi che fanno funzionare il territorio. In secondo luogo, finché la presenza di imprese che localizzano i propri centri decisionali al Sud resta minoritaria, c’è il rischio elevato che lo smart-working prenda, dal punto di vista territoriale, la forma di un decentramento delle funzioni meno qualificate, mentre ricerca, progettazione, autonomia e responsabilità restano concentrate al Centro-Nord. Con il corollario della fragilità dei posti di lavoro che possono facilmente essere sostituiti delocalizzandoli verso altri Paesi, magari a più basso costo del lavoro.

Affinché il Mezzogiorno possa avvantaggiarsi dei possibili sviluppi dello smart-working c’è bisogno di una politica industriale che sostenga gli investimenti delle imprese in attività da localizzare al Sud, radicandovi il cuore dei propri processi produttivi.

Articolo del 4 ottobre 2020 per il Corriere del Mezzogiorno

SEGUIMI SUI SOCIAL