Interventi
19 January 2020

La società civile non può eclissarsi, deve contribuire al discorso pubblico

Il rapporto tra società civile e politica è stato l’oggetto, nelle ultime due settimane, di un dibattito vivo e appassionato sulle pagine del Corriere del Mezzogiorno. Un dibattito che, pur centrato molto sulla situazione napoletana, ha colto problemi e tendenze che, al fondo, toccano l’insieme del Meridione d’Italia. Sperando di non fare torto a nessuno

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Il rapporto tra società civile e politica è stato l’oggetto, nelle ultime due settimane, di un dibattito vivo e appassionato sulle pagine del Corriere del Mezzogiorno. Un dibattito che, pur centrato molto sulla situazione napoletana, ha colto problemi e tendenze che, al fondo, toccano l’insieme del Meridione d’Italia. Sperando di non fare torto a nessuno degli interventi, vorrei qui richiamare due considerazioni – tra le molte emerse nella discussione – che mi sembrano costituire un denominatore comune ai diversi punti di vista che si sono confrontati. 

La prima è quella che evidenzia Antonio Polito nell’articolo con cui ha aperto il dibattito (Corriere di domenica 5 gennaio). Dopo aver richiamato con sguardo amaro le “mille manifestazioni di una robusta, sempre più ampia e aggressiva società incivile”, a cominciare dai recenti attacchi ai medici e ai presidi sanitari, Polito si chiede: “e la società civile dov’è? Nei luoghi di lavoro, certo, a fare il proprio dovere … dove tanta gente per bene si guadagna da vivere impegnandosi con serietà e senso di disciplina” o nelle “associazioni che spesso si occupano del bene comune”. Ma, e questo è il cuore del problema, sembra da tempo “aver perso ogni fiducia nello strumento della politica come metodo di cambiamento, ed essersi eclissata come soggetto della vita pubblica”.

La seconda considerazione viene da Antonio Bassolino, nella bella intervista rilasciata a Simona Brandolini (Corriere di venerdì 10 gennaio): l’astensione ha ormai raggiunto livelli tali – un terzo dell’elettorato e in alcune elezioni locali e regionali anche molto di più – che non possono essere più ridotti all’area tradizionale del distacco dall’impegno politico ma coinvolgono piuttosto anche molti cittadini sensibili all’interesse generale e attivi in qualche forma di impegno sociale. Una “società astenuta” che segnala quanto grande sia diventata “la distanza tra la vita concreta e l’astrattezza del discorso pubblico, spesso segnato dal politicismo che è cosa diversa dalla politica”.

Sono considerazioni che evidenziano bene come la società civile, ossia l’insieme delle relazioni economiche, sociali, culturali tra i cittadini, sia oggi percorsa nel Mezzogiorno d’Italia – ma più in generale, anche se in misura diversa, in tutto il nostro Paese e non solo – da spinte contrastanti: da un lato, e in misura crescente, ripiegamento individualistico e pulsioni distruttive; dall’altro, comunque presenti e attivi, senso del bene comune e impegno civile. 

Il fatto è che gli anni Duemila sono stati anni in cui è andato perdendo coesione il tessuto profondo della società italiana: la stagnazione e poi la crisi economica hanno contratto drammaticamente, specie per i giovani, speranza e fiducia nel futuro e si sono aperte ferite profonde che incidono sui comportamenti e sui convincimenti personali. Al tempo stesso, grazie allo sviluppo democratico che il Paese ha ereditato dai decenni precedenti, si è prodotta una crescita di autonomia e soggettività dei cittadini che ha trovato però impreparate le forze politiche. In assenza di una capacità di orientamento della politica e in presenza delle lacerazioni prodotte dalla crisi economica, quella crescita di soggettività si è tradotta per alcuni in sfiducia rabbiosa e spinta alla chiusura difensiva, per altri in desiderio e capacità autonoma di iniziativa e in ricerca di nuove forme di aggregazione. 

Nel Mezzogiorno – dove la crisi ha colpito più in profondità e dove più marcata è stata la distanza tra forze politiche e difficoltà quotidiane delle persone – sfiducia, chiusura e azioni distruttive si sono manifestate con forza particolare. Ma anche la voglia di non rassegnarsi, di essere protagonisti, di affrontare insieme i problemi, si è espressa con forza, nonostante spesso faccia meno notizia.

E’ urgente allora cominciare a colmare “la distanza tra vita concreta e discorso pubblico” con una politica tesa a dar voce e sostegno a tutti coloro che cercano di costruire per sé e per gli altri, che collocano il proprio sforzo individuale nella prospettiva del bene comune. Una politica che si ponga il problema di individuare strategie “al servizio” delle energie positive presenti nella società civile affinché si diffondano, facciano tessuto connettivo, siano traino di fiducia e speranza per tutti, a cominciare da chi teme di non farcela. 

Un compito, questo, che naturalmente interroga in primo luogo i partiti, ma che richiede anche l’impegno autonomo di tutte le forze della cultura, dell’impresa, del lavoro, dell’associazionismo: sta a ognuna delle espressioni della società civile non “eclissarsi” ma contribuire secondo le proprie idee e convinzioni al discorso pubblico. 

Articolo del 19 gennaio 2020 per il Corriere del Mezzogiorno

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