Interventi
25 November 2018

La diga del tirso è il paradigma di un meridione che deve crescere

La storia centenaria della diga del Tirso è anticipatrice di una tematica molto attuale: quella del governo della risorsa idrica e del suo utilizzo per i bisogni dei cittadini e per lo sviluppo delle attività economiche. Sono appunto cento anni dall’inizio dei lavori per quest’opera di modernizzazione che in Sardegna ha trasformato l’economia e la

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La storia centenaria della diga del Tirso è anticipatrice di una tematica molto attuale: quella del governo della risorsa idrica e del suo utilizzo per i bisogni dei cittadini e per lo sviluppo delle attività economiche. Sono appunto cento anni dall’inizio dei lavori per quest’opera di modernizzazione che in Sardegna ha trasformato l’economia e la società di una parte ampia dell’isola. Un anniversario che viene giustamente celebrato in queste settimane, con iniziative e convegni, nella regione del Barigadu e dell’Oristanese.

Promossa dall’azione politica di Francesco Saverio Nitti, con l’apporto tecnico decisivo di Angelo Omodeo, la diga – che diede vita al più grande bacino artificiale d’Europa – rappresenta uno dei frutti più duraturi della prima stagione del meridionalismo, la stessa delle leggi speciali di inizio ‘900 per Napoli, per la Basilicata e per la Calabria. Una lezione su cui riflettere oggi, di fronte a un Mezzogiorno molto cambiato, anche grazie a quella stagione e poi soprattutto all’intervento straordinario del secondo dopoguerra, ma che ancora deve trovare la via che possa stabilmente stringere il divario con il Centro-Nord.

Il 1918 è l’anno in cui viene aperto il cantiere per la costruzione della diga di Santa Chiara d’Ula: l’obiettivo è quello di dare continuità alla fornitura di acqua alla popolazione e alle campagne circostanti, consentendo anche la bonifica di zone malariche come la piana di Arborea, e di ricavare al tempo stesso una decisiva fonte di energia elettrica per la regione. Il Tirso, come tanti altri corsi d’acqua sardi e di altre regioni del Meridione, ha una portata che oscilla fortemente in corso d’anno, alternando periodi di buona disponibilità idrica a periodi prolungati di sostanziale siccità. La realizzazione della diga ebbe quindi una portata rivoluzionaria, costituendo la base per un netto miglioramento della qualità della vita delle comunità della zona e per una trasformazione profonda dell’economia del territorio: l’agricoltura, in particolare nella piana di Oristano, poté svilupparsi contando finalmente su un regolare approvvigionamento irriguo, mentre la produzione di energia elettrica consentiva l’articolazione del tessuto delle attività economiche.

Non mancarono problemi e punti di sofferenza, in particolare per quanto riguardava abitati e terreni destinati a essere sommersi dal bacino: uno per tutti, lo spostamento del paese di Zuri sull’altopiano a fianco del lago Omodeo e – con forte valore emblematico – la ricostruzione della sua antica chiesa come era e con le sue pietre originarie ricollocate esattamente nella posizione iniziale. Ma la documentazione di archivio dell’epoca testimonia un impegno straordinario delle popolazioni del Barigadu nella fase di costruzione della diga, consapevoli della svolta epocale che la sua entrata in funzione avrebbe determinato.

Presupposto infrastrutturale, la diga, per una crescita economica della Sardegna Centro-Occidentale e per una migliore qualità della vita quotidiana dei cittadini: era questo l’obiettivo dei promotori. Ma anche, venendo a una tematica sorta molto più tardi e oggi a noi ben presente, per un governo del territorio attento alla tutela dell’ambiente. Per cogliere come quest’ultima affermazione sia appropriata, basta pensare quanto conti la regolarizzazione del flusso idrico di un fiume ai fini della prevenzione del rischio idrogeologico e quanto sia decisivo il presidio del territorio da parte delle attività agricole per garantirne la tenuta e curarne il paesaggio. La tutela dell’ambiente passa, cioè, per il governo consapevole del ricambio continuo tra attività umane e contesto naturale, attraverso lo sviluppo delle conoscenze scientifiche e l’affinamento delle capacità tecniche. Non a caso, il tema che è oggi all’ordine del giorno per il bacino del Tirso è quello di mettere a frutto l’ampliamento, realizzato con la nuova diga completata negli anni Novanta, in modo da dare vita a un sistema integrato Tirso-Flumendosa che assicuri forniture idriche regolari a una fascia ancora più ampia di territorio sardo.

Quella del governo e dell’utilizzo della risorsa idrica è questione di fondamentale rilievo per tutto il Mezzogiorno d’Italia, dove più frequenti sono le interruzioni nella fornitura di acqua a fini domestici e produttivi. E per questo mi piace concludere ricordando come qualche settimana fa sia stata completata la diga del Menta, essenziale per l’approvvigionamento di Reggio Calabria: un’opera rimasta ferma per decenni e sbloccata in questi anni con il supporto dei fondi del Patto per la Calabria.

Articolo del 25 novembre 2018 per il Corriere del Mezzogiorno

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