Interventi
08 March 2020

Ilva: otto mesi per sciogliere i nodi vista la situazione, giusta l’intesa

Ilva: l’accordo tra commissari e Arcelor Mittal (AM) chiude un contenzioso giudiziario che, trascinandosi, avrebbe bloccato qualsiasi prospettiva di ripresa per Taranto e bene ha fatto il Governo a sostenerne il percorso negoziale. Ora però la partita si gioca sul disegno di politica industriale e ambientale necessario a spostare in avanti la situazione: sta all’esecutivo

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Ilva: l’accordo tra commissari e Arcelor Mittal (AM) chiude un contenzioso giudiziario che, trascinandosi, avrebbe bloccato qualsiasi prospettiva di ripresa per Taranto e bene ha fatto il Governo a sostenerne il percorso negoziale. Ora però la partita si gioca sul disegno di politica industriale e ambientale necessario a spostare in avanti la situazione: sta all’esecutivo saperla condurre e sta a tutti i protagonisti della vicenda – AM Investco, Ilva in AS, sindacati, autorità locali, magistratura – operare costruttivamente per sciogliere, non per aggrovigliare, i nodi sul tappeto.

Sulla base dell’accordo di mercoledì scorso, da un lato AM ritira la procedura di recesso avviata a novembre e accetta di restare titolare del contratto di affitto e dei connessi obblighi di acquisto dei complessi aziendali e, dall’altro, i commissari Ilva rinunciano alla richiesta di misure cautelari. Vengono fissate le linee di fondo di un nuovo Piano industriale che prevede a regime – cioè una volta completati gli investimenti di ambientalizzazione – la produzione, con 10.700 dipendenti, di 8 milioni di tonnellate di acciaio all’anno, di cui 6 da altoforno (in particolare grazie al rifacimento di Afo5), e 2 da forno elettrico con a monte un impianto di preriduzione alimentato a gas. Viene previsto poi l’ingresso nella compagine azionaria di nuovi investitori di carattere finanziario e industriale a fianco di Arcelor Mittal. Infine, ed è questo il punto più delicato, si riconosce ad AM il diritto di recedere dal contratto, pagando una penale di 500 milioni di euro, ove entro il 30 novembre prossimo non veda la luce questa nuova struttura societaria, stabilendo peraltro modalità esecutive dell’eventuale recesso (per esempio in materia di rapporti di lavoro e dotazioni di magazzino) che sono essenziali per garantire comunque la continuità produttiva di Ilva. 

Era questo probabilmente il miglior accordo possibile, una volta che il quadro di regole entro il quale era stato firmato il contratto del settembre 2018 era stato messo in dubbio prima dalla riapertura della procedura di autorizzazione integrata ambientale (AIA) da parte del Ministero dell’ambiente nella primavera 2019, poi dalla ingiunzione di spegnimento di Afo2 da parte dell’autorità giudiziaria e infine dalla cancellazione del cosiddetto scudo penale a opera del Parlamento. Queste modifiche del contesto normativo e regolatorio non solo hanno incrinato il rapporto di fiducia tra azienda e istituzioni ma hanno finito paradossalmente per rafforzare la posizione negoziale di AM, rendendo inevitabile introdurre la clausola che le riconosce, a certe condizioni, il diritto di recesso. 

Del resto, l’interesse pubblico prioritario a questo punto era quello di mettere fine a un contenzioso giudiziario paralizzante che avrebbe reso impossibile disegnare un futuro per lo stabilimento di Taranto, con effetti drammatici sul tessuto produttivo e occupazionale dell’area. Ora ci sono otto mesi – e non sono molti – per aprire una prospettiva sciogliendo i nodi sul tappeto: specificare il Piano industriale e definire una nuova AIA che siano coerenti tra di loro, promuovere la nuova compagine societaria, ricostituire un quadro di regole certe per l’attività di imprese impegnate nel risanamento ambientale di situazioni compromesse da comportamenti passati.

Il Piano industriale deve soprattutto chiarire come si potrà assicurare a regime la competitività dell’impianto di preriduzione. Si tratta di lavorare in collegamento con la Commissione Europea che proprio di recente, con la Comunicazione del 14 gennaio, ha lanciato la strategia del Green Deal, per verificare la possibilità – in alternativa o in combinazione – di finanziamenti in conto capitale per ridurre i costi dell’impianto di preriduzione e di sconti da praticare sul prezzo del gas in relazione al contenimento che esso consente nelle emissioni climalteranti. Soprattutto una soluzione strutturale per il prezzo del gas potrebbe aprire la strada a un più diffuso uso del preridotto da parte dell’insieme dell’industria siderurgica italiana ed europea. 

A sua volta, la nuova compagine societaria, in cui AM venga affiancata da altri investitori sia di carattere finanziario che industriale, andrà promossa anche attraverso l’ingresso di capitale pubblico, purché in una logica di mercato: per confrontarsi con la concorrenza su un mercato globale come quello dell’acciaio c’è bisogno di imprenditorialità, capacità innovative, efficienza produttiva e qualità del prodotto. Sarebbe un grave errore per il futuro di Taranto se qualcuno si illudesse del contrario.

Al Governo il compito di svolgere il ruolo di pivot di tutta l’operazione e a tutti i soggetti economici, sociali, istituzionali, nessuno escluso, collocare le proprie specifiche esigenze nel quadro dell’interesse generale di Taranto e del Paese.

Articolo del 8 marzo 2020 per il Corriere del Mezzogiorno

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