Interventi
20 October 2019

Crisi della Whirlpool ed ex Ilva due mine sulla via della crescita

Due gravi rischi incombono in questi giorni sul tessuto produttivo meridionale e sui suoi lavoratori: la chiusura dello stabilimento Whirlpool di Napoli e quella dell’area a caldo dell’ex-Ilva di Taranto. Se dovessero realizzarsi, la conseguente perdita qui e oggi di capacità produttiva e di occupazione getterebbe un’ombra sulle prospettive future, nonostante le misure per la

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Due gravi rischi incombono in questi giorni sul tessuto produttivo meridionale e sui suoi lavoratori: la chiusura dello stabilimento Whirlpool di Napoli e quella dell’area a caldo dell’ex-Ilva di Taranto. Se dovessero realizzarsi, la conseguente perdita qui e oggi di capacità produttiva e di occupazione getterebbe un’ombra sulle prospettive future, nonostante le misure per la crescita che – stando al Documento programmatico inviato lunedì notte a Bruxelles – dovrebbero essere contenute nella Legge di bilancio che sarà varata nei prossimi giorni: rilancio di Industria 4.0, rifinanziamento del credito d’imposta per investimenti al Sud e riedizione del Fondo per la crescita delle PMI meridionali. 

Auguriamoci che la navigazione della Legge di bilancio riesca a superare tutti gli scogli, ma è chiaro che le due crisi d’impresa che angosciano i lavoratori di Napoli e di Taranto non staranno nel frattempo ad aspettare. E su di esse si misura qui e oggi la capacità del Governo di far fronte alle responsabilità che competono all’esecutivo.

Il vicolo cieco in cui si è cacciata la vicenda Whirlpool è il frutto sicuramente della rigidità della multinazionale americana ma anche se non soprattutto, spiace dirlo, del modo in cui è stata gestita da parte governativa fin dal maggio scorso. Sarebbe stato necessario entrare nel merito dei problemi che le imprese di elettrodomestici insediate in Italia e in Europa si trovano a fronteggiare nel contesto dell’attuale evoluzione del mercato internazionale, e quindi delle possibili strategie di un’azienda come Whirlpool, peraltro fortemente radicata nel nostro Paese. Si è scelta invece la strada miope “o lavatrici o niente”, accompagnandola con la minaccia di non concedere gli incentivi sullo stabilimento di Napoli cui comunque l’azienda dichiarava di non essere più interessata: una minaccia vuota. 

Il “niente” a cui purtroppo sembra si stia arrivando significherebbe la pura e semplice cancellazione di 430 posti di lavoro, con il dramma che ne deriverebbe per i lavoratori e le loro famiglie, e la perdita di un sito produttivo importante per tutto il territorio. Sta ora ai sindacati, per il bene dei lavoratori, avere la forza morale di chiedere la riapertura del negoziato con l’obiettivo esplicito di esplorare strade diverse, su cui peraltro l’azienda aveva a suo tempo dato segni di disponibilità: andare quindi a vedere le carte, a verificare la solidità o meno delle possibili alternative in termini di piani industriali e di serietà degli interlocutori. Non rassegnarsi al vuoto che incombe.

Ma anche la vicenda ex-Ilva appare veramente singolare. Dopo aver fatto da garante di un contratto tra Amministrazione Straordinaria e Arcelor Mittal in cui quest’ultima, a fronte di un quadro di certezze normative e regolatorie, si è impegnata su un piano di ingenti investimenti per il risanamento ambientale e il rilancio industriale, il Governo precedente ha puntato nella primavera scorsa a cambiare proprio le regole del gioco: procedura di riesame della normativa ambientale e cancellazione della norma che escludeva la perseguibilità penale delle condotte attuative dell’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale). Quest’ultima norma è stata poi reintrodotta con alcune modifiche. Ma oggi da qualche parlamentare ne viene di nuovo proposta la cancellazione. Se questa proposta dovesse passare ci troveremmo di fronte a un vero e proprio obbrobrio giuridico: il management che realizza il Piano di risanamento ambientale previsto dall’AIA sarebbe perseguibile penalmente per le azioni che a questo scopo mette in atto e alle quali è tenuto per obbligo di legge!

La conseguenza di una simile incrinatura dello Stato di diritto sarebbe nei fatti la chiusura dell’area a caldo Ilva. Al di là, spero, delle intenzioni dei proponenti, si avrebbe come risultato la perdita di 4.000 posti di lavoro a Taranto, con gli effetti immaginabili di crisi dell’indotto e impoverimento della città, un danno grave all’economia italiana e un favore straordinario ai produttori di acciaio degli altri Paesi. E speriamo che il cambio di management operato qualche giorno fa a Taranto da Arcelor Mittal non sia a sua volta l’anticamera di questo scenario.

Whirlpool e Ilva: è questo il momento, per chi non ama la decrescita infelice, di far sentire la propria voce.

Articolo del 20 ottobre 2019 per il Corriere del Mezzogiorno

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