Interventi
23 February 2020

Braccio di ferro a Bruxelles. La posta: i fondi per il Mezzogiorno

Di importanza decisiva per il futuro del Mezzogiorno, oltre che dell’Italia e dell’Europa, il braccio di ferro andato in scena a Bruxelles tra giovedi e venerdi sul bilancio dell’Unione per il periodo 2021-27, il cosiddetto Quadro Finanziario Pluriennale (QFP). Un braccio di ferro che proseguirà nei prossimi mesi, data l’opposizione rigida di alcuni Stati Membri

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Di importanza decisiva per il futuro del Mezzogiorno, oltre che dell’Italia e dell’Europa, il braccio di ferro andato in scena a Bruxelles tra giovedi e venerdi sul bilancio dell’Unione per il periodo 2021-27, il cosiddetto Quadro Finanziario Pluriennale (QFP). Un braccio di ferro che proseguirà nei prossimi mesi, data l’opposizione rigida di alcuni Stati Membri – Austria, Danimarca, Olanda e Svezia – alla proposta di incremento del budget comunitario avanzata dal Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel e sostenuta da gran parte degli altri Paesi, Italia, Francia e Spagna in testa. Una proposta che, compensando gli effetti restrittivi dovuti all’uscita di un contributore netto come il Regno Unito, salvaguarda le risorse a disposizione delle politiche comunitarie, in particolare per la coesione territoriale.
La posizione dei quattro Stati contrari al budget del Presidente Michel è quella di mantenere invariata all’1,03% – se non addirittura di ridurre – l’incidenza delle risorse comunitarie sul Pil dei Paesi membri. In termini assoluti il risultato post Brexit sarebbe una contrazione del bilancio UE a 27 rispetto a quello del periodo 2014-20 calcolato scorporando la Gran Bretagna: 1.053 miliardi di euro – o anche meno – contro 1.083. La conseguenza pressocché inevitabile sarebbe un taglio pesante dei fondi per la coesione.
La proposta Michel, aumentando all’1,074% del Pil l’incidenza delle risorse comuni, recupera questa perdita e in più incrementa seppur di poco il budget rispetto al 2014-20, portandolo a 1.095 miliardi. In questo modo, sarebbe possibile mantenere sostanzialmente invariati i due fondi principali per la coesione – il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e il Fondo sociale europeo (FSE) – aumentando al tempo stesso in misura consistente le risorse per i cosiddetti beni pubblici europei – innovazione, reti transeuropee, migranti, sicurezza e difesa. Penalizzati, nella proposta Michel, sarebbero il cosiddetto Fondo coesione, che è destinato ai Paesi dell’Est (i quali dovrebbero perciò aumentare la loro quota di cofinanziamento nazionale), e gli stanziamenti per la Politica agricola comune (PAC).
Per l’Italia, le prime stime indicano che la linea del Presidente del Consiglio Europeo dovrebbe portare a un miglioramento, rispetto al periodo 2014-20, del saldo complessivo del nostro Paese nei confronti del bilancio UE e, in particolare, a un aumento compreso tra 1,5 e 2 miliardi di euro dei fondi strutturali, così importanti per il nostro Mezzogiorno. Il risultato per noi sarebbe ancora più positivo se potesse riprendere quota l’originaria proposta Juncker del maggio 2018, che aumentava maggiormante il budget 2021-27 accogliendo le richieste del Governo italiano di allora per un maggior impegno su coesione e beni pubblici europei. E’ stata sostanzialmente questa la posizione negoziale di partenza dell’attuale esecutivo che, alleandosi con Francia, Spagna e altri 14 Paesi, ha per ora consentito di respingere l’offensiva di Austria, Danimarca, Olanda e Svezia. Non a caso, alla fine della due giorni di scontri a Bruxelles, i Paesi favorevoli a un aumento del budget hanno incaricato l’Italia, insieme con Portogallo e Romania, di elaborare una posizione comune con la quale affrontare il prosieguo del negoziato.
Qui naturalmente viene il difficile, e per due ragioni principali. La prima è che le posizioni dei Paesi che hanno respinto l’offensiva anti-Michel non sono pienamente sovrapponibili. In comune hanno l’esigenza di un bilancio europeo in aumento, ma sulla sua composizione interna permangono interessi diversi che bisognerà portare a convergenza: l’Italia è particolarmente interessata ai beni comuni europei e alle politiche di coesione, la Spagna anche ma è in questo momento in difficoltà sul fronte agricolo, sul quale a sua volta è schierata con forza la Francia a difesa dei fondi PAC; infine, la Romania è interessata a contenere il taglio sui finanziamenti ai Paesi dell’Est.
La seconda ragione ha a che fare con il Green Deal impostato dalla Presidente della Commisisone Ursula Von der Leyen: nella Comunicazione del 14 gennaio scorso, la svolta verde non modifica l’allocazione delle risorse sulle diverse voci del QFP ma chiede che all’interno di ognuna di esse vengano privilegiati gli investimenti green. La profondità della svolta però è tale che avrebbe bisogno di essere sostenuta anche con un significativo incremento del budget complessivo.
Il Green Deal complica quindi il braccio di ferro in corso. Ma al tempo stesso aggiunge peso al piatto della bilancia di quanti si battono per una finanza pubblica dell’Unione maggiormente all’altezza delle sfide che l’Europa ha davanti.

Articolo del 23 febbraio 2020 per il Corriere del Mezzogiorno

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