Interventi
19 July 2020

Acqua, un bene per il Meridione. Le imprese giuste per garantirla

L’acqua è un bene comune e per poter essere disponibile per tutti ha bisogno di un processo industriale di approvvigionamento, trasporto, smaltimento, nonché di regole economiche per disciplinarne gli usi: dunque ha bisogno di capacità di regolazione da parte dello Stato e di capacità imprenditoriali da parte dei soggetti che gestiscono il servizio.  E tutto

Leggi tutto >

L’acqua è un bene comune e per poter essere disponibile per tutti ha bisogno di un processo industriale di approvvigionamento, trasporto, smaltimento, nonché di regole economiche per disciplinarne gli usi: dunque ha bisogno di capacità di regolazione da parte dello Stato e di capacità imprenditoriali da parte dei soggetti che gestiscono il servizio. 

E tutto ciò è ancor più vero nel Mezzogiorno, che sconta ritardi anche sul fronte idrico. Lo sanno bene i cittadini meridionali, come anche agricoltori e imprese, che troppo spesso restano a secco, specie nella stagione estiva, o vivono le conseguenze di scarichi non a norma nei loro mari. 

Non è un destino inevitabile, ma per rovesciarlo bisogna uscire dall’ideologia e guardare in faccia i problemi. Ci aiuta in questo il Rapporto “Acqua per tutti” di un gruppo di lavoro della Fondazione Astrid coordinato dal prof. Mario Rosario Mazzola e discusso lunedì scorso in un seminario di esperti e responsabili politici e istituzionali.

L’acqua è un bene comune perché è una risorsa scarsa necessaria a tutti i componenti, presenti e futuri, delle nostre comunità. Per arrivare a tutti oggi, e per essere riprodotta e salvaguardata per tutti domani, ha bisogno di infrastrutture che incorporino sapienza tecnica e, in misura sempre maggiore, innovazione scientifica e tecnologica: impianti di captazione e invasi che ne garantiscano l’equilibrio di flusso, acquedotti che riducano al minimo le perdite, condutture fognarie e depuratori che tutelino il territorio, le falde, i mari. E ha bisogno di regole economiche che spingano i soggetti gestori delle infrastrutture a comportamenti di salvaguardia della risorsa e di rispetto dei criteri di allocazione tra i suoi diversi usi (civile, agricolo, industriale), come anche di regole, a cominciare dal prezzo, che inducano tutti gli utilizzatori a consumi consapevoli e rispettosi dell’ambiente.

Gestione industriale e innovazione tecnologica si riassumono in una parola: capacità d’impresa. I soggetti pubblici di gestione dei servizi idrici che hanno dato buona prova di sé nel Centro-Nord sono soggetti pubblici costituiti in forma di impresa, non burocarzie amministrative.

Regole per i soggetti gestori dei servizi e per gli utilizzatori – famiglie e imprese – significano organizzazione dello Stato come regolatore autorevole del settore idrico. Ossia, strutture dedicate e competenti, come l’Autorità di regolazione nazionale che è l’Arera e che in questi anni è stata determinante, laddove sono presenti imprese degne di questo nome, per far aumentare finalmente gli investimenti nel settore. Ma anche strutture a livello regionale e locale, come gli Ambiti territoriali ottimali (ATO) che, dove costituiti con le competenze necessarie, si sono mostrati anch’essi efficaci.

Il Mezzogiorno purtroppo è indietro sia sul versante delle strutture di regolazione pubblica, sia sul versante delle imprese di gestione del servizio. Sul primo, gli ATO sono stati costituiti in ritardo, in alcuni casi ancora in fase di organizzazione, raramente dotati delle competenze necessarie e a volte, come in Sicilia, di dimensione territoriale troppo piccola. Sul secondo versante, invece di imprese sono ancora presenti in diverse Regioni – Calabria, Campania, Molise e Sicilia – le gestioni dirette in economia da parte dei singoli Comuni, del tutto inadatte a conseguire decenti economie di scala, e prevalgono in molti casi gestioni nella sostanza burocratiche anche sotto la veste di aziende pubbliche, fino al caso di Napoli dove l’ABC è stata infelicemente ricondotta alla vecchia formula dell’azienda speciale comunale, peggiorandone l’efficienza.

In sintesi, il water service divide che si registra nel Mezzogiorno non è dovuto a mancanza di risorse finanziarie ma alla “ridotta capacità organizzativa e gestionale” dovuta ad assetti regolatori e produttivi arretrati. Serve allora una strategia nazionale che sblocchi la situazione al Sud: puntare su Ambiti territoriali ottimali di dimesione regionale, attivando se necessario i poteri sostitutivi dello Stato ed escludendo dagli aiuti pubblici le situazioni non conformi alla normativa nazionale in materia di ATO; promuovere l’aggregazione dei gestori facendo leva su un ruolo promozionale delle multiutilities del Centro-Nord, nonché di Cassa Depositi e Prestiti; organizzare per ognuno dei tre distretti idrici del Sud (Appennino meridionale, Sicilia e Sardegna) una società di approvvigionamento idrico primario partecipata dallo Stato, che convogli risorse finanziarie e imprenditoriali anche private verso le opere necessarie a garantire l’acqua all’origine.

Niente ideologie, quindi: l’acqua per tutti è un obiettivo troppo importante per cullarsi in aprioristiche astrattezze. Al Mezzogiorno serve una strategia nazionale basata su interesse pubblico e capacità d’impresa.

Articolo del 19 luglio 2020 per il Corriere del Mezzogiorno

SEGUIMI SUI SOCIAL