Interventi
08 November 2020

I conti territoriali senza polemiche. E’ l’ora del 34% nella legge di bilancio

Il Nord sottrae risorse al Sud o il Sud usufruisce di trasferimenti dal Nord? In altri termini, lo Stato italiano svolge la funzione perequativa prevista dalla Costituzione? Il confronto di queste settimane tra la Svimez e l’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica è l’occasione per fare chiarezza. La risposta, come vedremo, è inequivocabile: il bilancio

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Il Nord sottrae risorse al Sud o il Sud usufruisce di trasferimenti dal Nord? In altri termini, lo Stato italiano svolge la funzione perequativa prevista dalla Costituzione? Il confronto di queste settimane tra la Svimez e l’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica è l’occasione per fare chiarezza. La risposta, come vedremo, è inequivocabile: il bilancio pubblico trasferisce risorse dalle aree forti alle aree deboli come accade in ogni Paese che fa politiche di coesione. Il problema è se quel trasferimento, dal punto di vista quantitativo e qualitativo, è in grado di ridurre il divario tra Mezzogiorno e Centro-Nord.

Non entro qui nel merito delle diverse metodologie statistiche adottate rispettivamente dai Conti pubblici territoriali dell’Agenzia della coesione (CPT), cui fa riferimento la Svimez, e dai conti regionalizzati della Banca d’Italia basati sui dati Istat, cui fa riferimento l’Osservatorio. In ogni caso, anche sulla base dei CPT emerge con chiarezza il trasferimento di risorse dalle aree più ricche a quelle più povere del Paese: la spesa pubblica primaria (al netto cioè degli interessi sul debito) risulta in rapporto al Pil, cioè alla ricchezza prodotta in loco, significativamente più elevata nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord. Il bilancio pubblico redistribuisce quindi risorse verso i territori in ritardo di sviluppo.

Chiarita la direzione da Nord a Sud dell’azione redistributiva dello Stato, occupiamoci del problema che rileva veramente e cioè se essa sia adeguata dal punto di vista quantitativo e qualitativo. A questo scopo dobbiamo preliminarmente identificare le componenti della finanza pubblica cui è corretto imputare il compito della perequazione tra territori. 

Tra queste non possono rientrare le spese sostenute dalle imprese a partecipazione statale. Si tratta di imprese, appunto, non di pubbliche amministrazioni: su di esse l’azionista pubblico esercita, come qualsiasi azionista, il proprio potere di indirizzo, mentre sta al management tradurre l’indirizzo ricevuto in attività imprenditoriali che stiano sul mercato. Ed è bene che sia così: quando negli anni Settanta il potere politico piegò le partecipazioni statali a fare investimenti fuori mercato, cominciò il loro declino ed esso ebbe effetti negativi proprio sul Mezzogiorno. La funzione perequativa deve esercitarla la Pubblica Amministrazione costruendo con le proprie voci di spesa le condizioni che rendano conveniente alle imprese investire al Sud.

 Venendo allora a ciò che conta, ossia la spesa delle pubbliche amministrazioni in quanto tale, non tutte le voci di bilancio sono chiamate a compiti di redistribuzione territoriale. In particolare, non lo sono tutte quelle che corrispondono a diritti maturati dagli individui in base a regole omogenee a livello nazionale. Tra queste la voce più importante è quella della previdenza: come sottolineato da Giuseppe Coco su questo giornale qualche giorno fa, è inevitabile che questo tipo di spesa sia più elevato al Nord, per la maggiore presenza di popolazione anziana che ha maturato diritti pensionistici. E questo non c’entra nulla con la funzione perequativa dello Stato. 

Arriviamo così al nocciolo della questione, ossia a come si distribuisce la spesa pubblica pro-capite al netto delle pensioni: nelle statistiche CPT essa risulta, in misura limitata, più alta al Centro-Nord; in quelle Banca d’Italia/Istat risulta invece un po’ più alta al Sud; e lo stesso accade anche nelle statistiche pubblicate qualche giorno fa dal Ministero dell’Economia. In sintesi, se stiamo ai dati Banca d’Italia e Ministero, la redistribuzione operata dal bilancio pubblico tende ad allineare la dotazione di risorse per cittadino tra le macroaree del Paese. 

Tutto bene allora? No. Prima di tutto, l’allineamento della spesa non si traduce in un allineamento in quantità e qualità dei servizi alla popolazione: nel Mezzogiorno le amministrazioni, centrali e locali, non utilizzano le risorse in modo efficiente ed efficace. In secondo luogo, la spesa per investimenti ha visto in passato un utilizzo dei Fondi strutturali europei sostitutivo della minore spesa nazionale, con un effetto quindi depotenziato sulle possibilità di recupero del divario da parte del Meridione. Il Governo Gentiloni aveva introdotto la clausola del 34% (in proporzione cioè alla popolazione) per la spesa nazionale, proprio per garantire un utilizzo aggiuntivo e non sostitutivo dei fondi di coesione.

Tre allora le priorità per il Mezzogiorno: curare il cattivo uso delle risorse, applicare fin dalla Legge di bilancio che è in corso di stesura la regola del 34%, spendere in modo efficiente ed efficace le risorse europee.

Articolo del 8 novembre 2020 per il Corriere del Mezzogiorno

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